lunedì 31 maggio 2010

anelli mancanti o occhi chiusi?


facciamo un piccolo inciso sull'evoluzione, parliamo di Anelli mancanti

Le “forme di transizione” non sono gli “anelli mancanti”, perchè l'evoluzione produce di volta in volta diversificazioni a partire da un antenato comune, producendo un albero genealogico e non una scala naturale, concetto lineare assolutamente sbagliato, eppure ancora portato avanti quasi senza freni.
rendiamoci conto che è fuorviante e crea nelle persone un'idea già errata di suo nel concetto abbastanza complicato dell'evoluzione.
L'evoluzione procede localmente nello spazio e nel tempo ed i paleontologi quando trovano un fossile, non sono in grado di dire se questo sia certamente un antenato in linea diretta di altri taxa, o solo un cugino estinto,
certamente però possono studiare i suoi caratteri e quindi individuare sia se sono rimasti nello stato primitivo, rispetto ad altri taxa simili estinti o attuali, sia quelli in stato derivato, sempre rispetto a forme estinte o ancora viventi... cioè si capisce se questo carattere si è trasformato rispetto ad altri taxa simili in un intervallo di tempo.
In pratica è sempre possibile studiare chi sia cugino di chi, rapportando anche questi studi ai tempi geologici.

penso sia chiaro, ora:

una volta individuati i caratteri tipici nei fossili e nei viventi, si collocano in taxa: cioè un ordine, una famiglia, un genere o una specie.
si fa quindi un'analisi filogenetica, un cladogramma, che mostra la relazione tra le caratteristiche tassonomiche, quindi la loro parentela.
dal cladogramma quindi si passa all'evogramma, invece della brutta abitudine italiana, a livello bibliografico, che usa ancora questa maledetta scala lineare... anche perchè crea una sorta di aspettativa verso un fine che l'evoluzione biologica non ha affatto.

quante generazioni sono cresciute con l'idea che l'intelligenza e l'andatura bipede siano l'obiettivo finale dell'evoluzione o il suo apice?
personalmente sono anche un pò stanco di sentirmi rivolgere la domanda banale e ingenuotta: "ma alloraperchè le scimmie non sono diventate uomini?"

... se i creazionisti si rendessero conto che il concetto di "anello mancante" lo usano soltanto loro forse non si dovrebbe nemmeno perdere del tempo a dare spiegazioni simili.

venerdì 16 aprile 2010

Australopithecus sediba

Sudafrica, trovato “anello mancante” tra australopiteco e homo habilis

Il ritrovamento di uno scheletro di ominide nelle caverne di Malacapa, nella zona di Sterkfontein in Sudafrica, potrebbe dare un ulteriore e importante contributo alla ricostruzione dell’evoluzione umana. Il professor Lee Berger dell’Università sudafricana di Witwatersrand e i suoi collaboratori hanno infatti rinvenuto lo scheletro di un bambino ominide quasi completo e ben conservato, che si ritiene debba essere probabilmente collocato a livello evolutivo tra l’australopiteco (3,9 milioni di anni fa circa) e il primo ominide noto, l’homo habilis (2,5 milioni di anni circa).

erano quasi tre anni che si parlava di questo ritrovamento, ma lo scheletro fossile era stato solo parzialmente estratto e mancava tutto lo studio anatomico e di comparazione. finalmente leggo la pubblicazione di questi tre anni di lavoro, si pensava ad una nuova specie di australopiteco, ma addirittura un nuovo ominide di transizione, è davvero elettrizzante...

lunedì 15 febbraio 2010

L’inattendibilità statistica della chiesa cattolica

Riporto un articolo del presidente dell'UAAR, unione degli atei e degli agnostici razionalisti, Raffaele Carcano, sulle statistiche legate al numero di fedeli nel nostro paese.
La motivazione è dovuta al fatto che per molto tempo, ed ancora oggi, il numero dei credenti è basato esclusivamente sull’equivalenza “battezzato” = “cattolico”, conseguenzialmente è irrilevante se il battesimo sia un rito celebrato in un'età in cui chi lo sostiene non sia assolutamente in grado di intendere o di volere, identifica una persona e le sue ideologie in maniera categorica.
Poco importa se negli anni, crescendo, il battezzato perde la fede, perchè verrà sempre identificato come tale.
Dal 21 novembre 2002 la Conferenza Episcopale Italiana, riunita in seduta plenaria, ha preso ufficialmente atto della legittimità delle richieste di cancellazione degli effetti civili del battesimo formulate dai soci UAAR rivoltisi al Garante per la tutela della privacy che nel settembre 1999, si è pronunciato sull’argomento riconoscendo il diritto di ogni cittadino a veder annotata la propria volontà di non essere più considerato un fedele della Chiesa cattolica.
La pratica di "sbattezzo" non è solo un modo per riprendersi la propria libertà religiosa, ma anche un modo per segnalare statisticamente che non si è più parte della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, non si tratta di un controrito ma della semplice annotazione sul registro dei battesimi, al fianco del proprio nome della richiesta dell'interessato di non fare più parte della CCAR.
Permettetemi un beve excursus,
Gesù decise di farsi battezzare solo quando ebbe compiuto trent’anni. Anche agli albori della cristianità il battesimo veniva impartito agli adulti, e solo dopo un congruo periodo di catecumenato. Anzi, molti fedeli rimandavano addirittura il battesimo fin quasi in punto di morte, per presentarsi “puri” nell’aldilà.
Con l’affermarsi della nuova religione, il rito venne gradatamente anticipato agli infanti, di qui il nome di “pedobattesimo”, anche in seguito all’elaborazione teologica del peccato originale, tuttora in vigore.
Ancora oggi, infatti, la Chiesa ritiene che i bambini «nascono con una natura umana decaduta e contaminata dal peccato originale».
Il Codice di diritto canonico, al canone 868, stabilisce che :«è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i propri figli».
Attenzione, però: “istruire” non significa affatto “imporre”, insegnare ai propri figli la verità della religione cattolica non deve quindi avere come automatica conseguenza l’adesione forzata vita natural durante alla Chiesa cattolica.
Questo purtroppo però è quanto comporta il battesimo: il canone 96 del Codice di diritto canonico stabilisce che «mediante il battesimo l’uomo è incorporato alla Chiesa di Cristo e in essa è costituito persona, con i doveri e i diritti che ai cristiani, tenuta presente la loro condizione, sono propri, in quanto sono nella comunione ecclesiastica e purché non si frapponga una sanzione legittimamente inflitta». Questa condizione assume valore anche per la legge italiana…
La sentenza della Corte Costituzionale n. 239/84 ha invece stabilito che l’adesione a una qualsiasi comunità religiosa debba essere basata sulla volontà della persona: difficile, quindi, rintracciare una tale volontà in un bambino di pochi giorni.

Ma ragioniamo su un elemento: quanto può essere seria una religione che permette un'adesione forzata da parte di un individuo non ancora in condizioni di comprendere ciò che gli accade?
Eppure per richiedere lo sbattezzo, incredibilmente, occorre dimostrare essere di maggiore età, quindi capaci di prendere e ponderare una decisione in ambito religioso, per uscirne serve il raziocinio, ma per entrarne questo reqisito fondamentale non è affatto richiesto.

Tutto questo giro di parole serve per arrivare al un punto cruciale, quanti sono gli italiani che credono nella religione cattolica?
Per molti anni la chiesa ha riferito dati, basati sul numero di battezzati quali cattolici credenti, per poter parlare a nome dell'intero paese, questo si traduce in leggi, in precetti comportamentali ed ideologie imposte all'intera comunità per tacita ammissione che questa sia tutta pronta ad accettarle, ma secondo l’ultimo rapporto Eurispes i cattolici italiani risultano l’87,8% della popolazione tra non praticanti e praticanti.
Di questi ultimi il 24,4% si dichiara tale, andando a messa ogni domenica e segnalando di donare il proprio 8x1000 alla CCAR.
E gli atei? il 10,7% della popolazione italiana si definisce agnostico, mentre il 7,8% si dichiara ateo.
Sebbene siano statistiche basate sui campionamenti casuali, in tutta franchezza, se si chiedesse direttamente ad ogni singolo italiano a quale fede appartiene e se ne ha una, il numero varierebbe sensibilmente in positivo, io ad esempio non sono sbattezzato,ma non sono credente, ai fatti vengo conteggiato come cattolico.

Quindi e con questo concludo, se il numero di italiani che sono favorevoli a politiche laiche che prevedano unioni civili, eutanasia e testamento biologico, non imposizione forzata nei luoghi pubblici e uffici statali di simboli religiosi strettamente lagati ad una sola fede, nascita, vita e morte di un individuo, si attesta al 60% (all'interno di quell'87,8%, quindi non contando appartenenti ad altre religioni minoritarie ed increduli), perchè la chiesa pretende di parlare ad un numero prossimo al 100% entrando a gambatesa nella politica del paese su questioni che hanno a che fare con la vita di tutti?
Oggi, nel 2010 a quale comunità apparteniamo, tale da rimuovere dalle coscienze temi cruciali e giustificare politiche chiuse, anacronistiche e subordinate all'interventismo politico assolutamente influente di una religione incredibilmente autoritaria?

Queste implicazioni finiscono inesorabilmente con l'avere un carattere legislativo, ma non solo, tendono ad essere considerate come razionali e ragionevoli, sebbene siano nulla più che pura e cieca credenza.
Ad esempio, non serve cercare poichè si tratta di interventi con cadenza quasi giornaliera, il 13 febbraio scorso, praticamente l'altroieri, nel corso dell’udienza concessa ai partecipanti all’assemblea generale della Pontificia accademia per la vita, Benedetto XVI ha tenuto un discorso incentrato sui temi bioetici.
Il pontefice ha vigorosamente ammonito i legislatori, ricordando che “la storia ha mostrato quanto possa essere pericoloso e deleterio uno Stato che proceda a legiferare su questioni che toccano la persona e la società, pretendendo di essere esso stesso fonte e principio dell’etica”. Al contrario, i governi devono riconoscere la legge morale naturale, che “forte del proprio carattere universale, permette di scongiurare tale pericolo”, offrendo altresì al legislatore “la garanzia per un autentico rispetto sia della persona, sia dell’intero ordine creaturale. Essa si pone come fonte catalizzatrice di consenso tra persone di culture e religioni diverse”. Benedetto XVI ha anche spiegato in cosa consiste tale legge morale: “una legge non scritta da mano d’uomo, ma iscritta da Dio Creatore nel cuore dell’uomo, che ogni ordinamento giuridico è chiamato a riconoscere come inviolabile e ogni singola persona è tenuta a rispettare e promuovere”.
Un legislatore attento alle esigenze dello stato che dirige pondererebbe ogni singolo punto di vista sui temi di rilevanza etica, bioetica e sociale, vagliando le parole del papa, ma ponendole alla pari di qualsiasi altra idea.

Ecco, questa lettura della contemporaneità, schiettamente ideologica senza ombra di dubbio, perchè incentrata sulla presunta "razionalità della fede" o altrettanto presunto "retto ragionare", che pervade la nostra società, è condivisa da tutti oppure l'assolutezza di questa condivisione è quantomeno opinabile?

Secondo il vaticano, riguardo alla visione etica puramente cattolica, l'italia, salvo qualche ristrettissimo gruppo di individui, accetta di buon gradodi relegare la laicità di uno stato ad qualcosa di sbagliato,
numeri alla mano vediamo su cosa basano tali dati e se sono realmente attendibili.

Nicola

L’inattendibilità delle statistiche della Chiesa

Le statistiche fornite dalla Chiesa cattolica sul numero dei suoi fedeli sono prive di plausibilità scientifica e difficilmente accettabili anche come semplici “stime”. È quanto emerge da un’analisi approfondita delle cifre fornite dalla Chiesa stessa all’interno delle sue pubblicazioni.

La spinta a verificare questi dati è stata data dalla campagna di “bonifica statistica” lanciata anni fa dall’UAAR: la quale confidava, evidentemente con eccessiva benevolenza, che le statistiche cattoliche fossero attendibili, perlomeno a riguardo del numero dei battezzati. Riteneva infatti l’UAAR che, come qualsiasi ufficio anagrafe, il dato dei fedeli di ogni parrocchia venisse aumentato dei battesimi e diminuito dei funerali. Il dato delle parrocchie, comunicato ai vescovi e poi al Vaticano, avrebbe quindi costituito la base del numero dei cattolici che la Santa Sede, ogni anno, comunica con una certa enfasi alla stampa di tutto il mondo e da questa ripreso e divulgato in maniera alquanto acritica. In questo modo viene a formarsi, nell’opinione pubblica, e soprattutto nella classe politica italiana, la convinzione che la confessione cattolica sia di gran lunga la religione più importante nel mondo.

Così facendo, la Chiesa cattolica non tiene ovviamente in alcun conto chi si allontana informalmente dalla fede. Autorevoli commentatori come Corrado Augias hanno sostenuto che le statistiche sulla religione non devono basarsi sulle fonti interne alle confessioni religiose, ma devono invece rifarsi ai risultati delle inchieste sociologiche e demoscopiche: le quali attestano, per l’Italia, una percentuale di cattolici inferiore di un 10-17% a quella diffusa dalle gerarchie ecclesiastiche. Ma queste posizioni si sono rivelate minoritarie, e il dato di fonte vaticana continua a essere ripreso dai mezzi d’informazione con una certa enfasi, per quanto lentamente in calo.

Proprio per rimediare a questa situazione fu lanciata la campagna di “bonifica statistica”. Un numero sensibile di defezioni formali dalla fede (i cosiddetti “sbattezzi”) avrebbe, secondo l’UAAR, prodotto una diminuzione nel numero totale dei fedeli ostentato dalla Chiesa, in quanto le parrocchie avrebbero dovuto contabilizzare in diminuzione, oltre ai defunti, anche coloro che si erano “sbattezzati”.

Una verifica puntuale, compiuta sui dati di ogni singola diocesi italiana, aggiornati al 31 dicembre 2003 e pubblicati all’interno dell’Annuario Pontificio 2005 (stampato in Vaticano), smentisce però questa prospettiva e lascia alquanto perplessi sull’opportunità di considerarli anche solo come semplici stime.

La prima cosa che balza all’occhio è l’arrotondamento dei dati, alquanto inusuale per qualsiasi repertorio statistico degno di questo nome. Si resta perplessi di fronte alla plausibilità di dati come quelli di Arezzo (popolazione 300.000, cattolici 285.000, non cattolici 15.000, battezzati nel 2003 1.800) o di Palermo (rispettivamente 960.000, 930.000, 30.000, 12.000). Sono arrotondamenti che nel volume si rivelano costanti e, spesso, anche alquanto grossolani. Prescindendo dalle abbazie territoriali, su 218 diocesi italiane il dato dei cattolici si presenta arrotondato in 112 casi: in 41 casi al centinaio, in 56 al migliaio, in 13 alla decina di migliaia, in 2 (Napoli e Porto) addirittura al centinaio di migliaia di fedeli.

In un caso (Teano-Calvi) la diocesi è arrivata a sostenere che non esistono acattolici sul territorio di propria competenza: 80.000 abitanti, 80.000 fedeli. Nel caso della piccola diocesi di Lamezia Terme (140.000 abitanti), invece, il dato sorprendente è quello dei battesimi che sarebbero stati impartiti nel 2003: addirittura 9.600, numero che la collocherebbe al quinto posto in Italia dopo Milano, Roma, Torino e Palermo, e ben davanti a Napoli che, per contro, dichiara una cifra evidentemente troppo bassa (2.900). Per dare un’idea del nonsenso della cifra di Lamezia, si consideri che nella provincia “italiana” di Catanzaro, su cui la diocesi lametina insiste per circa un terzo, nello stesso anno 2003 i nuovi nati furono solo 3.357. Per quanto evidentemente sovradimensionato, questo dato è stato ugualmente accolto in Vaticano come veritiero: la somma del numero dei battezzati nelle singole diocesi corrisponde infatti all’unità al dato nazionale (456.807) pubblicato nell’Annuarium Statisticum Ecclesiae 2003.

Quest’ultima è l’altra pubblicazione statistica vaticana che esibisce le cifre aggiornate al 31 dicembre, presentate in questo caso nazione per nazione. È degno di nota che i due annuari divergano invece per la popolazione (59.781.160 nel Pontificio, 57.610 migliaia nell’altro) e per il numero di cattolici (57.715.651 nel Pontificio, 55.752 migliaia nel secondo). Il fatto che la percentuale di fedeli risulti più o meno la stessa (96,54% nel Pontificio, 96,77% nell’altro) autorizza a pensare che sia intervenuta una correzione, onde non stampare un volume con un numero di cittadini italiani che, rispetto a qualunque ricerca statistica ISTAT, si sarebbe rivelato decisamente sovradimensionato (perché basato sulle fonti diocesane).

L’irragionevolezza di questi dati ha imposto a questo punto un confronto con quelli precedenti, per verificare se, per caso, non si fosse trattato di errori contingenti, di una “annata storta”. Per maggior scrupolo, il confronto è stato effettuato con i dati aggiornati a due anni prima (31 dicembre 2001) presentati dall’Annuario Pontificio 2003, al fine di poter scartare anche l’ipotesi che alcune cifre fossero state “replicate” o arrotondate a causa di una tardiva consegna dei dati. Dalla verifica è invece emersa una situazione che non solo ha confermato, ma ha addirittura rafforzato la tesi dell’inverosimiglianza delle statistiche vaticane.

Gli arrotondamenti si erano infatti sprecati anche in questa occasione. Non solo, ma in numerose occasioni i dati 2003 e quelli del 2001 si sono rivelati identici: per la precisione, in 39 casi per quanto riguarda la popolazione, in 47 casi per quanto riguarda i cattolici, in 4 casi per quanto riguarda i battesimi (il che è veramente sorprendente, perché quest’ultimo dato dovrebbe essere alquanto semplice da raccogliere). In 38 casi anche il numero degli acattolici si è rivelato inalterato: una circostanza inevitabile laddove anche i dati relativi a popolazione e numero dei fedeli erano invariati (è accaduto 32 volte, ma in tre casi si è rivelato identico anche il numero di battesimi). Tuttavia, il fatto che in sei casi a restare identico sia stato il solo numero dei non cattolici non fa che accrescere i dubbi, che raggiungono il culmine con il dato di Acireale, la cui cifra spezzata (2.102) fa venir meno anche qualsiasi possibile giustificazione basata sugli arrotondamenti.

Oltre a ciò, si rileva che alcune delle incongruenze evidenziate in precedenza erano già lampanti, tali e quali, nell’Annuario di due anni prima: la diocesi di Teano-Calvi non segnalava comunque nessun acattolico, quella di Lamezia Terme evidenziava comunque 9.000 battesimi e quella di Napoli ne evidenziava comunque 2.800. In alcuni casi le modifiche sono talmente irrilevanti da apparire artificiose: per esempio, la diocesi di Siena segnala ora dieci cattolici in più e venti non cattolici in meno.

Un quadro assolutamente statico, allora? No. Nelle diocesi i cui dati sono mutati tra il 2001 e il 2003 può capitare di assistere a cambiamenti che, se fossero reali, sarebbero addirittura epocali. Limitandoci al solo dato degli acattolici, si può notare che in alcune diocesi avrebbero avuto un vero e proprio crollo nel giro di soli due anni: ad esempio Gaeta (da 7.953 a 140), Messina (da 15.360 a 1.100), Pavia (da 11.153 a 2.851) e Reggio Calabria (da 18.081 a 2.199). Conversioni di massa? No. Altre diocesi manifestano infatti un trend esattamente contrario: il numero dei non cattolici aumenterebbe infatti in modo esponenziale ad Acqui (da 3.980 a 33.982), Brescia (da 16.350 a 106.000), Ravenna-Cervia (da 380 a 19.320) e Roma (da 76.023 a 333.206). Quest’ultimo è forse il dato più paradossale di tutti, perché corrisponde (all’unità) all’aumento della popolazione, mentre il numero dei cattolici risulta identico (all’unità) a quello di due anni prima (2.454.000).

Tutto questo accade in Italia: è facilmente intuibile cosa possa accadere nel resto del mondo.

«Cresce il numero dei cattolici nel mondo, ma soprattutto in Africa e Asia, mentre in Europa si registra una certa “stabilità”. Sono alcuni dati dell’Annuario Pontificio 2005, consegnato oggi al Papa». È l’incipit della notizia così come diffusa il 31 gennaio 2005 dalla SIR (Servizio Informazione Religiosa, l’agenzia di stampa dei vescovi italiani). I miei corsivi hanno evidenziato l’uso ripetuto del modo indicativo al posto del condizionale: le statistiche sono state presentate dalla Chiesa cattolica come un dato affidabile, e come tale è stato recepito dai mass media di tutto il mondo. Come penso di aver documentato, i dati divulgati sono invece da ritenersi privi di qualunque valore scientifico, e assolutamente improbabili anche come semplici stime. Sconcerta che la Santa Sede pubblichi annualmente due raccolte statistiche che propongono numeri vecchi e/o non plausibili. Se lo fa, è perché ritiene, evidentemente, di poter contare sull’accettazione acritica degli stessi. Confido che questa ricerca aiuti a comprendere la necessità di fornire esclusivamente notizie attendibili, anche e soprattutto su argomenti religiosi.

Raffaele Carcano
25 gennaio 2006