venerdì 18 settembre 2009

Perché Liberi di non credere?


Sono parole che condivido così tanto da sentirmi in dovere di riproporle, anche perchè sinceramente non saprei esprimermi meglio di come Paolo Ferrarini ha fatto in questo video di presentazione della manifestazione Liberi di non credere
La libertà uno ce l’ha dentro. Non si chiede a nessuno il permesso di avere delle convinzioni. Del resto non ho dubbi che le persone che privatamente non credono in dio, e/o nella religione, e/o nelle istituzioni religiose siano in realtà la stragrande maggioranza. Perché non c’è indottrinamento che ci possa forzare ad avere determinati pensieri nella testa, anche in contraddizione a ciò che ci piacerebbe pensare coscientemente. I pensieri semplicemente emergono in noi, così come sono, senza tener conto dei dogmi e dell’infallibilità dei pronunciamenti papali, e del nostro ardente desiderio di crederci. Quello che non si può fare, che spesso non vogliamo fare, e che di certo non siamo incoraggiati a fare, è dare libera espressione a questi pensieri, ascoltarli, svilupparli, portarli alle logiche conclusioni. Ogni giorno sento discorsi e vedo comportamenti assolutamente eretici da parte di chi afferma di credere. Vedo persone che vivono costantemente nella contraddizione, nella tensione tra ciò che da un lato li muove nella vita e dall’altro ciò in cui dicono di avere fede. Ma fermarsi, prendere onestamente atto delle proprie reali idee e affermarle, non si può. E’ un problema culturale, prima che politico, perché il criterio di giudizio con cui è valutata la moralità delle persone usa ancora oggi la “fede” come unità di misura. Finché mi autocertifico come credente, porto ufficialmente il marchio di persona morale. Non importa che io sia un mafioso o uno stupratore di bambini, avrò sempre una marcia in più rispetto a chi afferma apertamente il proprio ateismo. In questa prospettiva, la censura dell’incredulità da parte della maggioranza vociferante dei formalmente cattolici è una necessità. Accettare, tollerare e rispettare il punto di vista di atei, agnostici e razionalisti equivale ad ammettere che il monopolio della moralità non è della religione. Ma in questo caso, chi vorrebbe continuare a vivere nella contraddizione, nell’ipocrisia, nel tabù, e in ciò che in fondo si sa essere una menzogna? Se non servisse più dichiararsi credenti per sentirsi socialmente accettati, giudicati bene e magari premiati, quante persone in questo nuovo millennio continuerebbero a farlo? La politica non fa altro che portare nell’arena civica questa censura culturale. Se i programmi scolastici, la ricerca scientifica, la libertà di prendere decisioni individuali sull’inizio o la fine della vita, facessero capire al cittadino che un’alternativa al pensiero religioso è altrettanto accettabile e rispettabile, si verificherebbe un vero e proprio cambiamento di paradigma, che farebbe saltare gli intricati interessi economici e di potere che legano strettamente la chiesa e lo stato italiano. Per questo le pagine dei giornali e i programmi televisivi sono pieni di dibattiti sull’islam, sull’esoterismo, l’astrologia, la magia… Qualsiasi cosa, tranne gli argomenti del pensiero razionale. Quando si parla di atei, se ne parla in termini di persone “problematiche, in crisi, in ricerca”, insomma, come dei disturbati psichici. Intanto, le discussioni in parlamento hanno un registro più simile a quelle che si sentono in Kuwait o nello Yemen, che non nella UE. Quante volte si sente dire: “Eh, ma questo in Arabia Saudita non succederebbe mai”. Evidentemente il modello teocratico che qualcuno vuole imitare è quello.
La libertà di non credere ce l’abbiamo dentro. Ma non basta, non più. Vogliamo che sia riconosciuta e rappresentata, nelle leggi e nell’informazione.

http://www.paoloferrarini.net/ita/news/index.php